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Progetto L’ARTE DELLA FOLLIA

PROGETTO BRASILE 2012/2013

L’ARTE DELLA FOLLIA

Il progetto “L’Arte della Follia” nasce sia da un’analisi sul campo del contesto sociale e culturale brasiliano, che direttamente dai potenziali beneficiari e partner del progetto.

Vivere la situazione psichiatrica brasiliana, conoscere gli operatori del settore, visitare  le strutture, ci ha consentito di capire l’enorme lavoro realizzato, nell’ambito della Salute Mentale, su gran parte del territorio, e quanto ancora si deve fare.

OSPEDALE PSICHIATRICO SÃO PEDRO

L’Ospedale Psichiatrico São Pedro viene fondato nel 1874 nella capitale Porto Alegre, ed è stato il sesto manicomio più importante dell’epoca del secondo Impero del Brasile (1841-1889). La struttura occupa un’area molto vasta e di una posizione privilegiata, che riporta all’idea di una città dentro la città, come gran parte dei luoghi di segregazione totalitari.

Oggi gli internati sono 246, mentre nel 1970 erano 5.000.

La Secretaria Estadual da Saúde attraverso il DAS (Dipartimento di Azioni di Sanità) ha come proposito di avanzare nell’attuazione della riforma psichiatrica del Rio Grande do Sul. Le azioni del DAS sono mirate al processo di deistituzionalizzazione del São Pedro, secondo azioni rivolte alla trasformazione dell’Ospedale da luogo di segregazione a Istituto di formazione delle risorse umane impegnate nella tutela della salute mentale collettiva.

Il progetto che presentiamo, in collaborazione con la Segreteria di Salute Mentale del Rio Grande Sul, rappresenta una delle tappe del processo di deistituzionalizzazione del São Pedro.

CONTESTO STORICO E TERRITORIALE

Stato del Rio Grande do Sul – Porto Alegre

L’Italia rappresenta, nel mondo, un punto di riferimento costante nella lotta antimanicomiale e nella tutela della salute mentale. Alla fine degli anni ‘70 Franco Basaglia viene chiamato in Brasile per discutere la Legge 180 e riflettere sulle possibilità di emancipazione e di cambiamento della drammatica situazione dei manicomi brasiliani.

Attraverso un percorso non sempre lineare, nel 1992 vengono approvate, in vari stati del Brasile, le prime leggi rivolte alla creazione di una rete integrata di cura della salute mentale e ad azioni pratiche basate su una visione della terapia comunitaria e non ospedaliera. Ciò nonostante, nello stato del Rio Grande do Sul la trasformazione parte in ritardo.

Soltanto dal 2001, il Dipartimento di Salute ha messo in atto politiche di riduzione del numero di internati del São Pedro, la principale istituzione psichiatrica statale. Ancora oggi, l’Ospedale rappresenta il contenitore più importante del bacino di utenza della psichiatria locale.

RELAZIONE FINALE A CURA DI ANA DALBELLO

LE GEOGRAFIE CORPOREE

le geografie dello spazio, delle emozioni e della danza

Questo potrebbe essere una specie di diario e riguarda la mia esperienza come trainer della Residenza Artistica presso l’Ospedale Psichiatrico São Pedro di Porto Alegre. Mi sembra interessante fare un confronto tra la struttura architettonica dell’ospedale e la struttura corporea dei pazienti con cui abbiamo lavorato.

Perché, questo approccio? Perché siamo stati fortemente influenzati dallo spirito del luogo, la nostra pelle ha assorbito le energie di quello spazio.

Il São Pedro è in grave stato di decadenza, ha bisogno di essere ristrutturato, ed è una impresa a lungo termine, che richiede tanto lavoro e tanta pazienza. Lo stesso investimento è stato necessario per la Residenza Artistica, che è durata tre mesi. Tre mesi sono pochi per poter entrare nel tessuto fisico-emotivo di ogni persona, ma tre mesi sono stati sufficienti a trasformare la fragilità umana di quelle persone in forza espressiva. La comunicazione e la relazione sono i principali veicoli verso la trasformazione. Il mio è stato un lavoro sui corpi,è consistito nel  “rendere vivi” i corpi dei pazienti.

I loro corpi erano carichi di sofferenze, erano passivi e densi di memorie pesanti.

I loro corpi erano pieni di tutte le vergogne dovute dal proprio bagaglio familiare, genetico, psicologico.

Come far fare a questi corpi stanchi, repressi e tristi una danza che accolga la forza della vita?


Il primo passo è stato proteggere quei corpi abbandonati.

E questo ha significato creare una situazione ambientale sana, che suscitasse nelle persone interesse, curiosità e desiderio nei confronti dell’attività fisica, dei gesti, dei colori, dello spazio, insomma del teatro. La cosa fondamentale è stato ricominciare ad utilizzare il corpo. Ogni mattina, esclusi il sabato e la domenica, dalle 9.00 alle 12.00 si realizzava il laboratorio teatrale a cui veniva dedicato una parte al riscaldamento del corpo e della voce, e una parte allo studio del testo.Si è creata subito una vera atmosfera teatrale.

Inizialmente tutto era molto confuso, incerto e pieno dei dubbi. Ma una volta presa confidenza tra tutti noi era facile entrare in azione e non spaventarsi degli sbalzi energetici che andavano dall’ irrefrenabile entusiasmo al cupo senso di fallimento.

Ho dovuto imparare quando insistere e quando rinunciare. Ogni persona aveva una esigenza diversa. Ogni corpo rispondeva diversamente agli stimoli che gli venivano offerti. E in questo percorso è stata incredibile la volontà delle persone che si sono “trovate” ad essere“attori”. La loro curiosità verso il teatro ci ha dato un senso di intenso benessere.

Il teatro libera e rivela.

Mostrare e aiutare le persone a creare un proprio linguaggio espressivo, ha permesso di utilizzare “i materiali vissuti” della loro vita. Dare lo spazio dove raccontare le proprie storie, ha permesso loro di essere finalmente ascoltati.

Una persona che vive da anni da sola dentro un ospedale psichiatrico,spesso senza parenti fuori, scopre una dimensione nuova nel poter dire chi è, nel poter gridare, nel poter ballare, nel poter mostrare che ha paura, nel poter piangere e ridere, senza per questo essere giudicato. Abbiamo lavorato anche sotto il profilo delle percezioni sensoriali, scoprendo legami, con alcuni, con la precedente vita (quella prima di essere internati), come con Paulo, ex musicista di samba,letteralmente rifiorito dopo che gli abbiamo messo in mano un tamburello.

Abbiamo dedicato tempo al respiro, per calmare e controllare le proprie azioni.

Col tempo il gruppo ha preso familiarità con i movimenti fisici, i corpi hanno cominciato a sciogliersi, e quindi è stato possibile proporre esercizi e coreografie più elaborati che sono diventati parte dello spettacolo acquisendo anche un valore poetico.

Per concludere questa breve relazione, mi piace ribadire un concetto a me caro: lavorare con la follia, ogni volta mi permette di capire che la follia non è pericolosa, ma dipende da come viene trattata.

Se la follia vive dentro un corpo, dobbiamo prendere il corpo della follia e lasciarlo che ci seduca, senza aver paura di esserne stregati.

Trieste 30 maggio 2013

Ana Dalbello